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(di Giuseppe Possa)

Per apprezzare i poeti non è necessario conoscerli di persona; infatti, dei tanti che ci 51956021_10213329216216670_5315000798776655872_nhanno emozionato, quanti sono morti ancora prima che noi nascessimo? Quindi, a mio parere, è sufficiente leggere i loro dati biografici, qualche avventura o disavventura esistenziale che ne hanno caratterizzato la personalità, ma soprattutto bisogna approfondire con una lettura attenta i loro versi, meditarci sopra e riflettere, lasciandoci commuovere dai contenuti e dalla musicalità delle strofe. Occorre esaminare gli stili e assimilare i componimenti soffusi di profondo umanesimo che questi cantori, attraverso un costante tirocinio lessicale e contenutistico, hanno prima conservato per qualche anno nei cassetti e, in seguito, dati alle stampe. Questo, ovviamente, quando i poeti sono validi, degni di nota, con radici innovative, però abbarbicate alle proprie tradizioni culturali che li fanno sentire se stessi in un’identità personale, superando vanagloria e narcisismo. È il caso di Antonio Ciminiera, che non ho mai incontrato, ma che attraverso i “social” ne ho via via ammirato l’anelito per quell’aspirazione ai valori umani, dall’amore alla libertà di pensiero, dal dolore alla gioia di vivere, che spesso si accavallano nel nostro quotidiano, fino alla sua chiara autonomia di espressione da ogni ideologia. Anzi è il solo impulso artistico, almeno a me pare, la matrice, il substrato poetico, che lo spinge a scrivere, ispirato ai più alti sentimenti che non si circoscrivono nel tempo e nello spazio, ma che hanno valenza universale.

Antonio Ciminiera nasce a Potenza nel 1953. Ha appena un anno quando la famiglia (ha una sorella di sette anni più grande) si trasferisce a Marsiglia, dove il padre lavora comeciminiera 1234 artigiano edile, ma dopo qualche anno (a causa degli eventi bellici tra Algeria e Francia) ritorna con moglie e figli in Italia e trova occupazione a Riva Presso Chieri (TO). Qui, il giovane Antonio inizia la scuola e ben presto si appassiona alla lettura, quella dei poeti in particolare. Ed è interessante sapere che già sul finire delle elementari ha mostrato una precoce inclinazione a scrivere versi lirici. Terminate le scuole d’obbligo, però, per collaborare al sostentamento della famiglia, inizia a lavorare.  Tuttavia, sente il bisogno di continuare ad acculturarsi; prosegue così i corsi serali, coltivando anche la sua passione per la poesia, su una linea ermetica e neorealista: <<ho studiato di notte/ come fanno i poveri cristi/ le mani ancora sporche di colla/ nemmeno il tempo di lavarmi/ nemmeno il tempo di pisciare>>.

Nel 1985 pubblica “L’ultima estate” (Ed. Pentarco – Torino), la sua prima raccolta di liriche (premio Lunigiana 1986). Con la scrittrice Fulvia Gambaro, con cui aveva già iniziato una cospicua collaborazione artistica, fonda nel 1987 il Premio di Poesia Palazzo Grosso e per 11 anni ne è stato presidente di giuria. Negli anni Novanta si appassiona alla poesia spagnola della prima metà del secolo, da Hierro ad Alberti, da Prado a Ramòn e altri. Da questo nuovo bagaglio culturale, in aggiunta alle precedenti esperienze letterarie, acquisisce un più maturo linguaggio lirico e uno stile del tutto personale. Nel 2014 pubblica “La stagione dell’amore assurdo”, per la casa editrice “La vita felice” di Milano e due anni dopo “Tutto esaurito ma io non mollo” (Ed. Sillabe di sale – Condove). Antonio Ciminiera è autore anche di alcuni testi teatrali (tra gli altri: “I conti tornano”, “Il sosia”, “El seugn ‘d barba Vigin). Opera come membro di Giuria in alcuni prestigiosi concorsi letterari; ha vinto numerosi premi ed è presente in diverse antologie. Della sua attività letteraria si sono occupati giornali, riviste e pubblicazioni varie, ottenendo l’interessamento di noti critici.

Sono evidenti le qualità liriche di Ciminiera, perché dalla lettura delle opere, sotto 51984833_10213328003546354_7120831618129854464_nl’aspetto linguistico e contenutistico, si può sintetizzare che la sua poetica non è né troppo tradizionale, né avanguardista, ma si sviluppa (ovviamente a mio avviso) con una tecnica del tutto personale, per la fisionomia individualistica ma dalla visione universale e per l’originalità espressiva. Versi liberi, sciolti e brevi si alternano a quelli più distesi, fino al dettato largo capace di ampi respiri lirici che hanno alle spalle un lungo lavoro di lima e di riflessione… mica come quei poeti: <<che scrivono a stento/ ma trovano sempre,/ chissà come fanno,/ la scala più corta/ la porta più grande>>. Ciminiera scava, con un misto di tenerezza e di piacere, dentro il proprio “privato” e va dritto al cuore delle cose, al sangue (e alla carne) dell’amore e al suo conseguente insorgere commosso o al suo distacco disilluso, lasciando trapelare il sentimentalismo ferreo e profondo di chi, per esso, ha gioito o sofferto. La tensione umana e lirica che si riscontra nel pensiero di Antonio è dovuta al ricordo di una donna reale o idealizza nella sintesi di quelle amate o che gli hanno toccato il cuore e che sono diventate, nel momento rievocativo, motivo di interiori e nuovi desideri o di inquietudini che sgorgano dal più profondo dell’animo del poeta, mentre tenta di metabolizzare dentro di sé ogni gioia o delusione: ora abbandonandosi all’amore, ora macerandosi nella ferita che brucia.

Egli, nell’insieme della sua produzione, tuttavia non si limita a “parlar d’amore”, ma facendolo traduce anche quella “umana avventura” dell’esistenza nelle sue svariate sfaccettature. Sono le stesse dell’uomo immerso nella dura realtà della vita, del suo interrogarsi o del suo interrogare. Infatti, nell’immagine del poeta si riflette l’intera collettività, nella bellezza o nella fatica dell’esistere. Una tematica di forza questa, sviscerata in ogni aspetto, in un amalgama di colori, di emozioni, di scavo psicologico, dentro cui Antonio riesce sempre a cantare con robustezza di versi nati nell’animo da improvvise intuizioni, da rapidissime suggestioni che sa realizzare sulle pagine con resa di bellezza poetica.

A ben leggere, è una lezione profonda di coraggio intellettuale sempre più raro nei nostri tempi, perché il suo non è soltanto un viaggio virtuale dentro sé stesso, negli inferi, nei paradisi o nei meandri di impulsi passionali, ma pure nelle emozioni, nella profondità delle ansie quotidiane, in cui veniamo a trovarci nei momenti cruciali dell’esistenza.

 “Le stagioni dell’amore assurdo” – Sono raccolte in questa silloge più di ottanta poesie,10516815_10202856017073237_3261873944375742343_n suddivise in due sezioni. La prima da il titolo al libro, la seconda è “Condannato per insufficienza di prove”. Dopo un’introduzione del regista Guido Chiesa, il volume si avvale di un’attenta e dettagliata prefazione di Antonino Caponnetto che, tra l’altro scrive: <<I lettori che come me (o prima di me) si sono accostati alla sua poesia avranno certo notato come esista nei versi di Antonio un “tu”, assai spesso femminile, cui il poeta si affida o contro cui lancia la propria sfida in un confronto serrato come con la propria anima, con la propria donna o con una propria trasfigurazione della donna. Oppure invece, ed è questo il caso più ricorrente, io credo, con la sua problematica esigentissima eppure capricciosa amante, la… Poesia>>.

Per comprendere questo “viaggio”, come sostiene il prefatore, nel “tu” femminile all’interno di un percorso d’amore poetico e tormento, si leggano questi versi, in cui ci sono parole amare. Il poeta sente prepotente il bisogno di stenderle tra i versi, sebbene desideri ancora baci da chi ormai lo ha dimenticato: <<il ricorso di un amore/ non è un nutrimento per la morte/ ma tu trapassami di lacrime/ e adornami di baci/ come se fossi memoria di sangue/ un sepolcro innocente/ ma non pulsa più il mio nome/ nel tuo cuore d’amianto/ o forse si nutre di mille ragioni/ come per non lasciarti andare>>. Le liriche di Ciminiera sono incessantemente un attestato d’amore che lambisce, che cammina sulla pelle con l’intenzione di penetrarla per raggiungere il cuore e farlo sussultare, scuoterlo fino alla passione (<<È una stagione assurda e la terra geme/ di un amore innocente>>) e al tempo stesso un urlo di dolore contenuto (<<con nessuno divideremo l’inchiostro del nostro dolore>>).

In esse, l’autore rivela se stesso e trova accenti e ritmi in cui noi troviamo scintille e sensazioni che sono le sue stesse. Soprattutto quando le attese d’amore (non solo idealizzato ma pure fisico) rendono più urgente il bisogno di comunicare, con accenti delicati, la voce interiore del poeta: <<…dammi le tue labbra amore…/ socchiuse e mature di brina/ scosse da una voglia remota di baci…/ le tue labbra, le tue labbra amore/ che muoio>>. Il suo messaggio diventa allora accorato: <<cercami/ non avere paura/ so contenerti in un sospiro>>. Altrove egli descrive la propria delusione dopo una spasmodica attesa: <<Non voglio più rincorrerti/ lasciami dormire almeno questa notte>>. Anche se la perseveranza lo fa ancora sperare: <<ho voglia di starti dentro il cuore/ come il riccio nella tana questa notte/ finché la terra non sanguini>>. In ogni caso la lontananza gli fa gridare: <<morirò nel colore/ dei tuoi occhi/ e non saprò mai/ il senso di questa lontananza/ il lutto che mi ha generato/ la voragine aperta/ di ogni giorno che passa/ e intanto annego/ in questo mare anemico/ in questa assurda profondità/ che non conosco>>.

Ma la poesia di Ciminiera non è solo pathos d’amore; c’è nei suoi versi un costante afflato mistico-spirituale, forse un pretesto di vivere oltre il crudele destino. Ci sarebbero poi altri aspetti interessanti da scandagliare del suo libro complesso e articolato su risvolti che sono più intensi nella seconda parte, dove s’intravede un’anima abbeverata di umanità, <<come se portassi dentro al cuore/ il fardello di tutte le tempeste>> scrive, ma lascio il compito al lettore. Antonio non giudica, trae considerazioni per sé e per gli altri, ma racconta anche miserie e debolezze che ci sono pure nei poeti: <<sono fragili i poeti/ privi di ossa/ e di scudo/ e lievitano di solo dolore/ come la notte>>.

“Tutto esaurito ma io non mollo” – Anche in questo volume – oltre ottanta poesie e un’apcimin. 3pendice dedicata al paese delle sue origini, pubblicato da “Sillabe di sale” nel 2016 (con una postfazione dell’editore Piero Partiti) – Antonio Ciminiera prosegue con la costante, attenta, coerenza al suo linguaggio limpido e di disinvolta agilità lirica. C’è, però, costante, una malinconica (ma pungente) ironia di fondo in “Tutto esaurito ma io non mollo”, che si rivela al lettore con la caratteristica genuina dell’autore che ha maturato il suo canto alla realtà dell’esistenza e con un fervore creativo nato dall’istintivo, imperioso, bisogno di effondere i propri sentimenti: <<Vuoi mettere la soddisfazione di scriverti poesie/ e immaginarti con la testa tra le mani/ ad aspettarti l’ultima piallata al cuore>>. Egli si protende, pure qui, a trasfigurare in bellezza poetica ogni attimo dell’umano vivere, anche quando questo è minacciato dalla morte, perché <<tutto si specchia nel fuoco, / tutto qui nasce e qui muore/ come la nebbia>>.

La visione del mondo del nostro autore è di natura essenzialmente poetica, non filosofica, e acquista varietà di toni per quel suo possedere il senso doloroso dell’esistere (<<perché soltanto nel dolore noi saremo vivi>>), presentandosi sotto forma di testi più separati e autonomi, rispetto al precedente volume, ma ancora più sciolto nel linguaggio: <<più dialogico e quotidiano, con dei ‘che’, ma anche con dei vivaci intercalari il cui valore semantico è tale da dar senso linguisticamente fondante anche alla cosiddetta parolaccia, che nel parlare è sempre liberatoria, o alla sgrammaticatura, o del dialettismo, che fa dell’amore “l’ammore”, tutti elementi, questi, del parlato familiare o amicale, del colloquiale…>>, come sostiene Antonino Caponnetto nella prefazione.

Infatti, proprio uno dei temi presenti pure in questa silloge è l’amore che pare diventare pretesto di vivere e, con versi sottili, ne rievoca le sembianze, la grazia e l’ardore, contro il crudele destino: <<E’ che mi nutro ancora d’illusioni/ e sono stanco./ Che cosa mi trattiene in questa inutile città,/ nessuno sa chi sono/ nemmeno tu che un giorno mi chiamasti amore./ Ammore,  che stupida parola/ Ammore Ammore mio, sarà eterno il bacio/ sarà eterno l’uragano che mi covi dentro>>. E sembra usare la propria esperienza esistenziale quale tensione emotiva per esprimere l’amore individuale di fronte all’universalità seduttiva.

Attraverso questi componimenti, inoltre, scorgiamo quello che è stato il divenire interiore di Antonio: la vita con i suoi dolori, le delusioni, le amarezze, ma colmo di51742032_10213329217816710_789241463736107008_n speranza: <<vivo la mia vita senza ossigeno/ ma con il cuore al di sopra dei miracoli>>; l’inquietudine così sottile che si maschera nella nostalgia e nel ricordo; il desiderio di dare e l’impotenza per non averlo potuto fare sempre.  Ecco, allora, tra le altre, poesie qua e là con titoli emblematici: “Lettera di un clochrad a una prostituta” (<<…una donna s’acquatta/ nel suo letto di stracci/ in questo mondo di carta/ non ha più senso l’amore>>; “La prigione sul fiume”; “Giuditta e la luna”; “Voi che mi giudicate e non sapete” (<<…amo cantare le eclissi, il sole che non tramonta mai,/ l’epopea degli umili>>); “Mammoni”. I versi in esse contenute, tutti tirati sulla corda dell’eleganza stilistica, possiedono grande garbo e una leggera densità celeste dell’anima abbeverata non solo di passione, di desiderio e di cuore, ma anche di compassione nel cogliere le difficoltà e le necessità dei sofferenti, di coloro a cui la società dovrebbe prestare aiuto.

Sono molte di più le interessanti tematiche di questa silloge che andrebbe analizzata più a fondo: in ogni caso, a me pare, che Antonio Ciminiera non sia solo un cantore di emozioni o stati d’animo, ma soprattutto un cantore che sa cogliere il proprio tempo. “Tutto esaurito ma io non mollo” è un titolo che sintetizza, in una società decadente, la speranza che l’autore pone nella fiducia e nella forza divampante del futuro, anche se: <<il terreno del futuro è impermeabile ai sogni>>.

Giuseppe Possa

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