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Ho incontrato Jean Mégier durante una sua mostra allo “Spazio ex Fornace” di Milano, in cui ha esposto opere astratte, rappresentazioni della natura e ritratti. Una libertà inventiva, la sua, attraverso modi surreali, fantastici, e una struttura volumetrica dentro forme striate che si articola secondo un sistema a volte istintivo, altre intuitivo, della realtà. Per esempio, in un folto di alberi ogni elemento è costruito per mezzo di segni neri e dinamici, realizzati col carboncino, spezzati in modo speculare e rivestiti di una luminosità omogena. I ritratti, inoltre, sono proiettati in una plasticità segmentale in cui i volti (“psicogrammi”) sembrano portare alla luce i sotterranei flussi della coscienza, in espressioni individuali, ma svuotati di sostanza psichica e sentimentale, quasi a voler lasciare posto solo agli occhi, specchio di una personale interiorità. Continua a leggere
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