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Gianni Pre, dopo lunga malattia, è morto a Legnano il 20 giugno 2023. Sentite condoglianze alle figlie e alle loro famiglie da parte del blog PQlaScintilla e di tutti gli amici che lo apprezzavano e che hanno avuto modo di conoscerlo negli anni della rivista “ControCorrente (da lui fondata e diretta a Milano). Poeta, scrittore e critico militante, si è sempre dedicato con costante impegno all’arte, alla letteratura e alla cultura in genere.

Il ricordo di Giuseppe Possa

Da anni aveva abbandonato il mondo della cultura milanese (Milano era la città in cui aveva sempre abitato e operato fino a qualche anno fa) e si era trasferito in un tranquillo isolamento con la sua famiglia a Legnano, ma Gianni Pre, poeta e critico militante (d’arte e letterario), di tanto in tanto (purtroppo, sempre più raramente da quando, in pensione, vivo nella mia Ossola) lo andavo a trovare. Era facile ricordare (al telefono in questi anni di isolamento pandemico) i bei momenti che abbiamo trascorso insieme, quando organizzavamo eventi a Milano, ma anche in altri luoghi d’Italia, legati alla rivista di Cultura e Arte “ControCorrente”, da lui fondata e diretta, di cui ero un apprezzato collaboratore. Ho avuto modo, grazie alla sua amicizia, di conoscere dai più apprezzati pittori nazionali, ai numerosi validi artisti che ruotavano attorno alle Gallerie “Ciovasso” di Giovanni Billari, “Cortina” di Stefano Cortina e Nuovo Aleph di Paola e Mario Bardi, ma anche di numerose altre, prestigiose o periferiche, che ai tempi erano aperte in ogni punto del capoluogo lombardo, moltissime oggi chiuse e dimenticate.

Nato a Milano nel 1945, Gianni Pre è stato Caporedattore di “Alla Bottega”, rivista milanese molto conosciuta negli anni Sessanta-Settanta (diretta da Pino Lucano) che fu pubblicata fino agli anni Novanta e che promuoveva il premio di poesia “Aspera”, di cui era giurato. Fu lì che ci conoscemmo e m’invitò a collaborare sia al periodico che al premio. Nel 1995, proseguimmo con la rivista “Controcorrente” e con l’omonimo concorso di poesia (per l’occasione veniva pubblicata una silloge del vincitore e la premiazione si svolgeva al Museo della Permanente). Pre ha dato alle stampe due volumi di liriche: “Malebolge” (Syntesis Press 1978, Milano) e “Pianeta inferno” (MilanoLibri, 1989). I suoi testi critici sono raccolti in “Percorsi di un critico militante” (ControCorrente). Profondo conoscitore dell’arte e della letteratura, non si piegò mai a compromessi, neppure partecipò alle “congreghe” del tempo, come fecero molti suoi coetanei, fu forse anche per questo che si trovò sempre emarginato, operando nelle periferie della cultura, ma raggiungendo ogni Regione d’Italia. Il trimestrale “ControCorrente” veniva inviato a Gallerie, Associazioni, Accademie e Università, fino alle sua chiusura nel 2009. Sul periodico sono apparsi scritti anche di critici noti come Mario De Micheli, Philipe Daverio, Rossana Bossaglia, Gilberto Finzi, Vittorio Sgarbi, Giorgio Seveso, Roberto Roversi, Teresio Zaninetti, Francis Sgambelluri e altri.
Dal 1995 al 2007, legato alla rivista (Guria: Gianni Pre, Giuseppe Possa, Mary Di Bartolo), fu indetto il concorso di poesia “ControCorrente”, al cui vincitore era pubblicata una raccolta di poesie edita da “I Quaderni di ControCorrente” (ecco i primi premi: Teresio Zaninetti, Giacomo Ferro, Marco Mastromauro, Filippo inferrera, Walter Melani, Gina Bonenti Mira D’Ercole, Salvo Nugara, Paolo Sangiovanni, Mirella Boeri, Anna Paola Sanna, Gladys Sica).

Voglio qui proporre un’intervista che gli feci per la rivista “Contro Campo” di Torino (che era diretta da Lorenzo Masetta) e la prefazione che gli scrissi per il suo volume di liriche “Pianeta Inferno“. Oggi, i tempi sono cambiati e le presentazioni sono all’acqua di rose, ma anche in ciò che si pubblica  in questi decenni si trovano pochi valori di impegno sociale, forse si scrive più per vendere che per fare cultura. Se il mio linguaggio rievoca quei tempi è forse perché nelle liriche di Gianni Pre (come annotavo): <<si sente “ruggire” una pantera dai denti aguzzi. Inquieta e inquietante per quel polline di vitalità che trabocca da ogni pagina, la sua opera non lascia alcun margine per postille e rammendi filologici, né per svolazzi estetici: la sua poesia è un “colpo di revolver” che va diritto al bersaglio. Il lettore è avvertito>>.

Gianni Pre : PIANETAINFERNO
(premessa di Giuseppe Possa)

La poesia italiana non è progredita molto da Leopardi in poi, tant’è vero che chi volesse segnalare, soprattutto in questi ultimi anni, una voce nuova, autentica e non la parte di un coro, è costretto a cercarla tra una ristretta cerchia di autori non <<ufficiali>>, le cui opere, però, invase di passione sociale, denuncino senza mezze misure la condizione dell’uomo sfruttato da un altro uomo.
Uno di questi poeti originali, sia per il contenuto che per lo stile <<verticale>>, a taglio di diamante, senza sbavature, è, a mio avviso, Gianni Pre, artisticamente formatosi nell’ambiente della rivista letteraria <<Alla Bottega>> di Milano.
Il bersaglio sul quale il nostro si scaglia, con una lucida e coerente visione del mondo, è il potere borghese, che attraverso i propri pilastri e le proprie istituzioni (finanza, esercito, magistratura, chiesa, famiglia, cultura ecc.) degrada l’individuo ad uno stato di prigionia, cioè di non libertà, di conformismo, di falsità. Il poeta diviene così testimone che analizza l’alienazione dei rapporti umani, ossia la situazione distorta ed inautentica nella quale siamo costretti a vivere, impossibilitati cioè a sviluppare la nostra vera natura. E nel suo messaggio, nella sua contestazione, nella sua denuncia, è implicito un anelito ad una realtà tutta diversa dall’attuale, un annuncio di speranza per un futuro migliore.
Gianni Pre, partendo appunto da queste premesse, ci dà un ritratto spietato del nostro sistema economico e della nostra società in generale, così da disorientare immediatamente il lettore, il quale abituato agli impulsi della fantasia di troppi autori, rigetta quasi subito un simile <<prodotto>>, che gli mostra in modo freddo e asettico il <<cadavere>> dissezionato, come su un tavolo anatomico, dell’odierna condizione sociale-esistenziale.
Il <<capitalismo>> appare qui per quello che è: un mostro famelico, insaziabile, che guarda impassibile le sue vittime: le ingoia al mattino e le rigetta alla sera, dopo averle svuotate di ogni energia fisica e intellettiva. Il dramma è che le <<vittime>> stesse negano (preferendo agire come lo struzzo), rifiutandolo, un simile giudizio: segno questo dei condizionamenti negativi e dei retaggi di un passato duro a morire; anche perché in questo contesto sociale in un’alternanza di ruoli, ciascuno può diventare nel contempo vittima e carnefice, come in una catena che riproduce, attraverso infinite prospettive, un unico meccanismo di sopraffazione.
Sicuramente la forte ideologizzazione, in qualche caso, finisce per fargli abbassare il volo; tuttavia, occorre riconoscere che egli sa guardare senza complessi e con accanimento nei tempi che sono nostri, per scorgervi le indicazioni di ciò che siamo e dove stiamo andando. L’era dei computer offre anche ai lavoratori un certo benessere e una minor fatica fisica, ma la loro alienazione continua e lo stress psichico ha largamente sostituito la fatica.
Pre attacca, quindi, la brutalità dei rapporti di forza all’interno della sfera capitalista e il tradimento perpetrato nei riguardi del proletario, una volta di più confinato a rappresentare la massa dei <<vinti>> senza riscatto; ma denuncia anche l’apatia, l’indifferenza e l’impotenza della stessa classe operaia, impecorita, inerme, legata soltanto a quei minimi privilegi che è riuscita a conquistarsi, incapace di una vera ribellione e di una lotta per la conquista di una totale liberazione sociale.
Poeta istintivo, ma cosciente, Gianni Pre è sempre attento a cogliere le sollecitazioni che gli vengono dal mondo della cultura, ma soprattutto dalla storia, dalla politica, da tutti quegli aspetti quotidiani della vita che – volta per volta – gli si presentano con degli interrogativi inequivocabili.
Egli accetta dall’espressionismo l’aggressiva polemica contro i valori tradizionali, ma all’utopia dell’espressionismo sostituisce la lucida analisi della società umana; al velleitarismo eversivo oppone l’inesorabile demolizione del meccanismo su cui poggia il sistema che <<lecca il mattino su piatti di dorati risvegli>> e <<spalma il respiro dei deboli sul pane rubato>>.
Vibra spesso, in questi versi, la coscienza di ciò che significhi essere schiacciato da un potere occulto, sfruttatore (potere che in qualsiasi luogo e tempo sa celare il proprio volto, ma che, attraverso le leggi di mercato e di produzione, controlla l’individuo, frenandone ogni stimolo, ogni spinta a uscire da una situazione di mera sopravvivenza, rendendolo incapace di trovare la propria identità: individuale e di classe).
L’umanità sofferente, che paga un crudele tributo a chi la sfrutta e l’opprime, è qui descritta come una moltitudine di anonimi birilli-burattini.
Pertanto, oppressi incapaci di atti di ribellione contro le spietate repressioni quotidianamente subite; legati per mezzo di inesorabili fili (eserciti, polizie, capitali e industrie, partiti, burocrazie, asserviti ai governi, piccoli borghesi ricchi di privilegi anche se privi di potere, ecc.) a mani che il manovrano: anonime grinfie di un <<potere imperialista>> (una parola <<astratta>>, ma il cui meccanismo di sopraffazione è ben accertabile nelle dittature, nelle guerre, nelle miserie del terzo mondo, nei numerosi divarii ed ingiustizie sociali ecc.).
<<Pianetainferno>>, oltre a essere un’acuta analisi dell’attuale impossibilità dell’uomo a ribaltare e a trasformare il tessuto sociale in un organismo di vitale uguaglianza, diviene anche un attacco appassionato (quasi una requisitoria) contro l’estrema degenerazione in cui il potere capitalista ci ha condannati.
E se non riusciamo a ribellarci a questa situazione di fatto, ciò non significa che attraverso la lotta (la storia lo dimostra, anche quella recente) non si possano ottenere dei mutamenti sostanziali: certamente, ciò che è sempre stato non sarà per sempre.
La speranza, la battagliera <<speranza>> non ce la può uccidere nessuno e potrebbe diventare <<seme>> di nuove rinascite (l’autore, infatti, continua ad auspicare l’ideale <<comunista>>, ma non quel tipo di pseudocomunismo attuale, che aderendo all’individualismo borghese, rifiuta l’alleanza di classe).
Egli, quindi, sembra avvertirci che anche attraverso la poesia è ancora possibile inviare un messaggio e lasciare una testimonianza; e sebbene i poeti non abbiano mai abbattuto governi o modificato sistemi, tuttavia le loro intense ed infuocate immagini liriche hanno più volte spianato la via alla riappropriazione di una coscienza civile e morale.
Per concludere, nei componimenti di Gianni Pre si sente <<ruggire>> una pantera dai denti aguzzi. Inquieta ed inquietante per quel polline di vitalità che trabocca da ogni pagina, la sua opera non lascia alcun margine per postille e rammendi filologici, né per svolazzi estetici: la sua poesia è un <<colpo di revolver>> che va diritto al bersaglio. Il lettore è avvertito.

 Giuseppe Possa intervista Gianni Pre

Gli artisti oggi devono fare i conti con la nostra realtà:
direttamente o indirettamente

Oggi si fa un gran parlare di “arte”, cercando anche di capire se si tratti di un fenomeno importante oppure di un semplice arricchimento estetico per pochi. Esaminando la storia nella sua evoluzione, possiamo affermare che essa sia servita all’uomo per intendere le vicende che lo hanno preceduto e da cui ha potuto trarre numerosi insegnamenti. Nelle opere d’arte gli artisti hanno sempre descritto le aspirazioni, i timori, le gioie, le conquiste, le glorie, i sentimenti, degli uomini. E’ soprattutto alla loro mano che è stato affidato, fino all’avvento della fotografia, il compito di illustrare libri, giornali, manifesti; essi sono stati i cronisti degli avvenimenti storici, essi hanno seguito gli eserciti sui campi di battaglia e ne hanno immortalato le gesta. Agli artisti è stato affidato anche il compito di ritrarre personaggi storici, uomini di religione, di cultura, di scienza e di potere.
Per lungo tempo l’arte è stata utilizzata come principale strumento di documentazione e prestigio da parte delle grandi potenze: i committenti (Chiese, Signorie, Comuni, ecc.) mantenevano l’arte a livelli popolari; con l’avvento al potere economico della borghesia, l’arte si è fatta quasi esclusivamente appannaggio di privati facoltosi che la custodivano ad uso personale. L’arte, poi, si è ulteriormente evoluta nelle forme e nei contenuti, soprattutto oggi, in seguito al progresso tecnologico sempre più affannoso e plagiante per l’uomo e al continuo condizionamento dei mezzi di comunicazione. Occorre quindi esaminare, privi di ogni preconcetto e con grande tolleranza, le opere che gli artisti dei nostri giorni ci propongono. Esse sono, infatti, lo specchio di situazioni assillanti, traumatiche, dubbiose; tali realtà si riflettono sulla personalità degli artisti e li spingono alla ricerca continua di un’espressione (spesso difficile da realizzare) che tenti di farsi comprendere e far comprendere il nostro momento storico. Ma l’arte, in se stessa, cos’è veramente? Su questo importante argomento abbiamo interrogato un esperto: Gianni Pre, critico d’arte, fondatore e direttore della rivista di cultura ed arte “Controcorrente” di Milano.

G. Possa, G. Pre, il pittore Gabriele Mucchi, lo storico dell’arte Mario De Micheli (al Museo della permanente di Milano, durante i festeggiamenti per i 100 anni di Mucchi con il fascicolo di “ControCorrente” dedicatogli)


Si afferma da più parti che l’arte sia eterna, ma da tempo la gente non riuscendo a comprendere le sconvolgenti trasformazioni dell’arte contemporanea, ritiene che quest’ultima sia un inganno e che la vera arte sia morta. Tu che cosa ne pensi?
<<Prima di tutto vorrei sottolineare che anche l’arte, una delle tante sovrastrutture come la morale, la religione ecc., la si debba valutare in relazione al periodo storico in cui si è manifestata. Non esistono, a mio parere, cose assolute e quindi valori assoluti, bensì cose e valori relativi; per cui gli stessi fenomeni dell’arte, della letteratura e anche della musica, non possono essere il rispecchiamento di una data realtà, in un momento storico dato. Per esempio, l’arte greca in tutte le sue irripetibili realizzazioni si differenzia enormemente dall’arte paleocristiana o rinascimentale: nei contenuti e nelle forme ad essi corrispondenti. E’ facile constatare queste differenze sostanziali tra l’arte di un’epoca e quella di un’altra, basta sfogliare un libro di Storia dell’Arte: i diversi canoni estetici e i diversi messaggi saltano subito all’occhio… Un’indagine più approfondita ci potrà far cogliere le ragioni profonde dei molteplici, spesso contrastanti, mutamenti del processo artistico nel cammino serpeggiante della Storia. Pertanto, se è vero che l’arte del XX secolo risulta molto spesso lontana dai problemi più scottanti dell’uomo (il dilagare dell’arte astratta mi sembra un tangibile esempio di tale sproblematizzazione), è anche vero che riflette, talvolta drammaticamente, la mancanza di compattezza nella visione del mondo dell’artista: tale e tanto è lo stato di estraneamento dell’uomo dalla società in cui vive, dagli altri e da se stesso, estraneamento prodotto dalla sempre più brutalizzata situazione del lavoro nel sistema attuale. Tuttavia, esistono anche nel nostro tempo opere di altissimo livello comunicativo, e sono quelle che meglio riescono a muoversi nel groviglio delle contraddizioni sociali, e quindi a rispecchiarle. Si può negare che un quadro come “Guernica” di Picasso sia il risultato di un’equivocabile presa di coscienza sugli errori e le stragi della guerra? “Guernica” è un’opera tipica del Novecento come le “Danzatrici” di Scopas, ad esempio, lo sono state per l’epoca greca. L’arte, per concludere, non è certo morta, ma continua ad essere una delle espressioni più vitali della storia del genere umano; in quanto alla sua supposta morte, beh… anche la specie umana, a dispetto degli idealisti, è destinata a scomparire, e l’arte con essa>>.
Quali sono, secondo te, i condizionamenti che agiscono sull’arte? E’ difficile per un artista conquistare la propria libertà?
<<Sono molti i condizionamenti che agiscono, talvolta in modo decisivo, su chi fa dell’arte. Economici in primo luogo. Nell’universo contemporaneo, la trasformazione di ogni cosa in merce non risparmia certo l’arte: basta pensare ai giri d’interessi che ruotano intorno al mercato del quadro, per rendersene conto. E quando un soggetto tira, che fa l’artista? Quasi sempre produce ciò che il mercato richiede. Parecchi artisti contemporanei, pur dotati di indiscutibile talento, si sono lasciati fagocitare dalle richieste di mercato, svilendo così quella loro potenzialità creativa… Non sono da trascurare neppure i condizionamenti di tipo morale e religioso che, tentando di camminare di pari passo con la base economica, fungono da vero e proprio freno inibitore, da forza castrante. E quando l’artista non riesce a liberarsi di questa mentalità impostagli sin dai primi anni di vita dalla società in cui vive, difficilmente riesce a non deformare la realtà che ricrea nella sua arte. E’ quindi difficile per un artista conquistare la propria libertà; ma se vuole essere un testimonio ed interprete del proprio tempo deve saper vedere e riflettere la realtà per quella che è: indipendentemente da questioni di sopravvivenza e/o di mentalità. Con questo non voglio affermare che l’artista, per destreggiarsi in una dimensione di relativa libertà, debba fare il martire o il don chisciotte per rendere felici coloro che vedono nell’artista una sorta di semidio… Non potrebbe, ad esempio, procurarsi di che vivere con un altro lavoro? Il poco tempo dedicato all’arte risulterebbe sicuramente più genuino del troppo tempo che le dedicano i cosiddetti professionisti per ingrassare il mercato e le proprie tasche>>.
L’arte, a tuo parere, può contribuire a trasformare le strutture della società e la mentalità
<<In minima parte, a mio avviso; anche se in certi momenti storici gli stessi artisti prendono parte alle lotte della società (la Comune di Parigi insegna), riuscendo, in tal modo, a vivere e a condividere i problemi dell’intera società. In una situazione di questo tipo, un’opera d’arte, un libro, un brano musicale, possono avere una loro influenza diretta sulla struttura e sulla mentalità. Ma l’arte, secondo me, rimane soprattutto una testimonianza, qualche volta fedelissima, di un’epoca. Marx ha scritto che gli ha fatto comprendere meglio la società francese dell’ottocento l’opera narrativa di Balzac di tutti i trattati di economia e di storia allora prodotti. Prendiamo l’arte vascolare antica: è anche attraverso lo studio di questi vasi che si è potuto ricostruire meglio il volto dell’antichità: la sua economia, le sue istituzioni, la sua estetica>>.
Si può dire che la storia dell’arte sia una storia di rivoluzioni contro le forme dominanti? In altre parole, l’opera nuova è sempre polemicamente carica di violenza contro la tradizione?
<<Soltanto in certi momenti di acuta, ineluttabile crisi l’arte prende posizione in favore di una nuova società che si profila all’orizzonte, producendo una frattura nei confronti della tradizione. L’arte sacra non è stata per secoli l’espressione più congeniale di una mentalità comune? E non contraddiceva certamente le idee dominanti. Senza dubbio, all’interno di questa mentalità, riflessa nell’arte, vi sono state delle trasformazioni seppur non sempre bruscamente radicali. Nel realismo della pittura del Caravaggio, per fare un esempio, si può notare già un’insofferenza che anticipa (in questo senso l’opera caravaggesca è rivoluzionaria per il suo tempo) la successiva estinzione dei modelli figurativi biblici ed evangelici. E’ forse osservando i moti sussultanti e intricatissimi dell’arte del Novecento, che ricaviamo questa falsa impressione di continuo rivolgimento contenutistico-formale; ma a ben guardare, molte delle facce del travagliato e torturato mondo artistico del XX secolo si differenziano soltanto nella forma e non nella sostanza. Si può raffigurare il proprio afflato religioso dipingendo un quadrato o una macchia di colore invece di un santo!>>.
Si dice che di un’opera notiamo di più gli aspetti originali che la distinguono dalla tradizione, ma che poi i rapporti con questa vengono sempre alla luce. E’ vero?
<<In effetti, ogni buona opera d’arte possiede delle peculiarità che la distinguono da tutte quelle prodotte prima (anche dallo stesso artista), ma un’originalità in assoluto non esiste, neppure nelle composizioni di maggior frattura. “Les Demoiselles d’Avignon” di Picasso è un quadro che rompe decisamente sia con la tradizione impressionista e naturalista, sia con quella decadente. E’ un’opera nuova, di bruciante attualità per il suo tempo; eppure, come non riconoscere nella scansione dei suoi volumi il protocubismo di Cézanne? O come non riscontrare nella semplificazione delle sue figure in piatte, acuminate superfici, l’influenza dell’arte primitiva negra?>>.
L’arte riflette ineluttabilmente l’ambiente sociale e si subordina passivamente ad esso?
<<A mio parere l’arte autentica, e per autentica intendo realistica, riflette sempre l’ambiente nel quale si forma e dal quale può sorgere, o quantomeno riflette gli aspetti essenziali, nodali, di un determinato assetto socio-economico; ma non rimane subordinata in maniera passiva ad esso: anzi, in certi casi anticipa, tramite l’intuizione dell’artista, alcuni fermenti, alcune aspirazioni che si trovano ancora allo stadio latente nei rapporti sociali>>.
Valore estetico e valore commerciale collimano?
<<Valore estetico e valore commerciale non collimano affatto, e se collimano molte volte il livello estetico rimane condizionato dal suo prezzo di mercato. Opere d’arte di ottimo livello estetico possono avere una mediocre quotazione e viceversa. L’opera d’arte una volta immessa nel flusso del mercato funziona come qualsiasi altra merce: più è richiesta e più il suo valore commerciale cresce. Va da sè che, quando non ci a sarà più la legge del valore, il prezzo di un bene culturale precipiterà a zero… Esteticamente, invece, se valido, diventerà patrimonio riconosciuto da tutti >>.
Uno storico dell’arte o un critico d’arte possono quantificare in termini monetari le opere d’arte, o questa prerogativa è concessa soltanto ai mercanti, e cioè a coloro che operano nell’ambito della mercificazione?
<<Alle leggi del capitale non sfuggono neppure i critici d’arte, che anzi collaborano alla valutazione monetaria dell’opera d’arte per mezzo dell’apporto della loro intelligenza mercificata. Non sono loro ad imporre i prezzi di mercato, ma la loro influenza si fa sentire. Molti artisti mediocri valgono milioni… e questo lo dobbiamo anche ai cosiddetti critici “militari”, per usare un’espressione tanto cara ad Achille Bonito Oliva>>.
A tuo parere, è meglio dipingere o disegnare dal vero, oppure basarsi interamente sul proprio occhio interiore?
<<Forse, si trova nel giusto chi non fa nè l’una nè l’altra cosa, ma entrambe insieme. Chi lavora solo dal vero, infatti, rischia di cadere nell’oleografico: in un superficiale naturalismo; chi usa soltanto il suo “occhio interiore” rischia di perdere i contatti con il mondo reale, slittando come, ad esempio, Malevitch, fondatore del Suprematismo russo, nella sfera della “pura sensibilità” in un astrattismo ai confini del nulla…>>.
I capolavori, una volta impostisi, rimangono tali anche attraverso l’incessante variare delle forme e dei gusti?
<<Secondo me senz’altro. In quanto questi capolavori sono la condensazione ormai irripetibile delle tappe percorse dal genere umano>>.
Che differenza c’è, a tuo parere, tra arte locale e arte universale, e quando l’arte locale può dirsi universale?
<<Se per arte locale intendi un’arte provinciale, chiusa in moduli espressivi vecchi, consunti, azzarderei a dire che non si tratta neanche di arte… Se per locale intendi un’arte che ha dei confini suoi propri: geografici e storici, direi che è sempre universale. L’arte greca, in senso geografico e storico, era l’arte locale, ma è potuta essere universale perchè rispecchiava il loro mondo. Se veniamo avanti nel tempo, possiamo constatare che anche il Rinascimento era localizzato nelle varie Signorie della penisola, ma pure qui ritroviamo universalità perchè gli artisti di quell’epoca d’oro erano i portavoce della maggior parte dei problemi del loro tempo. Se risaliamo ancora sino al Settecento e all’Ottocento possiamo notare che solamente gli artisti calati nel cuore della loro epoca ci hanno dato delle opere universali. Prendiamo, per fare un esempio che valga per tutti, un artista come Courbet, fondatore in pittura del realismo ottocentesco. Questo vigoroso artista era della provincia e prediligeva senza dubbio soggetti come il paesaggio e il “tranche de vie” di provincia; nonostante ciò, lo vediamo impegnato anche in soggetti come gli “spaccapietre” e in scene sulla vita della città. Gustave Courbet riesce a essere universale proprio perchè nel suo mondo pittorico molti aspetti, molte facce della società a lui contemporanea, vengono colte con estrema forza espressiva. In sostanza, in Courbet sia la realtà della provincia che quella della città sono fuse, ineliminabili. Certo che se un artista di oggigiorno dipinge tutta la vita “paesaggi”, senza tener presenti il travagliato processo artistico del nostro secolo, e soprattutto la realtà sociale nelle sue molteplici e contradditorie sfaccettature, difficilmente riesce, a mio avviso, salvo rari casi, ad essere universale. Se esiste una realtà che è il fulcro, il centro irradiante dei rapporti sociali, non possiamo non tenerne conto, e far finta di non vederla. E un artista, un vero, autentico testimonio, deve fare i conti con questa realtà: direttamente o indirettamente>>

Giuseppe Possa

(Giuseppe Possa, Gianni Pre e Giorgio da Valeggia)