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Pubblichiamo qui di seguito i testi di Luca Ciurleo e Giuseppe Possa che accompagnano il catalogo dato alle stampe per l’occasione da Edizioni Landexplorer di Samuel Piana (Progetto grafico di Barbara Bisca – Stampato presso Mascotte, Domodossola).

“L’Arte d’essere un figlio d’arte” (di Luca Ciurleo)

Essere figli d’arte, si sa, non è sempre facile, soprattutto in ambito artistico. Se da un lato, infatti, vi è la possibilità di conoscere già i meccanismi di un mondo di per sé chiuso come quello artistico, dall’altro si corre il rischio dei confronti. Ed essere figli di Ugo Pavesi, affermato pittore ossolano, noto per i suoi paesaggi en plein air, lo è ancora di più. Soprattutto se in ambito artistico ci si vuole distanziare dall’esperienza paterna, prediligendo altri soggetti e trovando soluzioni formali di tutt’altra natura, in una ricerca che dura da oltre 15 anni e che ha portato alla creazione di un suo proprio stile pittorico facilmente riconoscibile.

Gian Luca Pavesi ha intrapreso proprio questo percorso e la mostra 15×30 (che non fa riferimento ai formati naturalmente quanto alle 30 opere rappresentative di 15 anni di evoluzione pittorica) allestita presso la Soms di Domodossola ne è la prova. Il pittore, alla soglia dei 50 anni, ha deciso di mettere in mostra il suo percorso artistico, la sua evoluzione, che lo pone in un solco completamente diverso da quello tracciato dal padre, con cui si è avvicinato alla pittura. Iniziamo da quello che li accomuna: il medium espressivo. Ambedue utilizzano prevalentemente l’olio su tela, ma la resa formale è completamente diversa, soprattutto negli ultimi dipinti in cui Gian Luca ha iniziato ad esprimersi attraverso il cosiddetto “spatolato”, una disposizione dei colori molto materica e dai contorni netti, nel solco dell’espressionismo. La sua pittura inizia in maniera naturalistica. Come scrive il critico d’arte Giuseppe Possa: «Gian Luca cerca una pausa e una rigenerazione proprio nell’incontro di laghi, alpeggi, brughiere, fiumi, prati in fiore. E un discorso a parte meritano i fiori, soprattutto quelli recisi in “nature silenti”, trasfigurati dall’emozione e dall’incanto creativo. Da essi sprigiona sempre una luce spontanea, brillante e una sensazione diffusa di movimento, proiezione della forza interiore del pittore e preziosa fonte di energie cromatiche per i riguardanti».

Naturalmente, all’inizio soprattutto, sono i paesaggi i primi soggetti ad attrarre la sua attenzione pittorica. Paesaggi marini e lacustri. Già in questa prima fase notiamo subito un uso interessante del rosso, che diventa un marchio di fabbrica, forse la nota cromatica che maggiormente riesce ad interpretare e diventa un suo segno distintivo. Il campo di grano con i papaveri rossi, che non possono che rimandare al soldato Piero di De André, ma anche il tocco rosso nei capelli della ballerina (di flamenco forse?) pronta a scendere in pista per esibirsi. Rosso. Un lampo di colore che attrae l’attenzione dello spettatore sulla tela. Un flash, un dettaglio indelebile nella memoria. Un lampo di colore per catalizzare l’attenzione su una azione banale quale sistemarsi i capelli prima di scendere in pista.

Con il passare del tempo la sua pittura si trasfigura e si trasforma. In un primo momento avevamo i fiori e gli elementi naturali, poi si passa ad altri aspetti, la figura umana entra nella poetica del pittore ed irrompe come una cascata. Ed è proprio nel rappresentare l’umanità che Gian Luca fa esplodere la sua idea di pittura. Inquadra la scena in tagli inusuali: gli occhi, affetti forse da un leggero strabismo, che osservano lo spettatore che osserva, scrutandone ed indagandone quasi l’anima; il viso in sezione aurea, decentrato volutamente nella tela, con le labbra, gli occhi tagliati, i capelli fuori scena; il cowboy di spalle mentre cavalca; l’anziano con il cappello, che ricorda il nonno di Heidi o l’archetipo del vecchio montanaro…

È questa la nuova poetica dove, personalmente, credo che Gian Luca stia dando i frutti migliori. Attraverso una ricerca stilistica che lo ha portato da un lato ad evidenziare i contorni, a creare movimento tramite linee che seguono esternamente la figura, che ne evidenziano l’essenza, che, in una sorta di neofuturismo postmoderno (non vi si scorge fiducia innata nel progresso, quanto piuttosto una solitudine degli individui, evidenziata dai colori tenui), ne amplificano il movimento. Penso ad esempio al chitarrista, uno dei suoi primi lavori in questo stile: la mano, poco delineata, scorre veloce tra le corde, la musica vibra attraverso la tela (che stia suonando il tango che i due ballerini stanno animatamente ballando? O accenna le note del flamenco su cui si esibirà la donna che si sistema i capelli prima di entrare in scena?) …

Da non dimenticare l’evoluzione anche stilistica, che gli ha permesso di ottenere effetti interessanti. Nel gioco di rimandi pittorici si può citare di tutto: alcuni nomi di grandi maestri del primo Novecento o di un certo espressionismo tedesco, nella rivisitazione di noti artisti di fine millennio. Mentre le nature morte, con i fiori ad esempio, evidenziano la perfezione della natura stessa, la sua tranquillità, i paesaggi nascondono inquietudini (con le onde che si infrangono sulle rocce ad esempio), mentre le figure umane rivelano le ansie del nostro tempo.

I tagli netti ottenuti con lo spatolato evidenziano volti colti nell’attimo del movimento, volti anonimi, sguardi definiti, di cui percepiamo l’inquietudine. Quei ballerini dal volto indefinito presi dalla trance coreutica, la donna inquieta che si sistema (nervosamente?) prima di andare in scena, il chitarrista che fa scorrere veloce le dita sullo strumento, l’anziano che ci osserva dalla tela, la donna dagli occhi di ghiacci che ci scruta dentro, la ragazza con il rossetto cupo che ci scruta inquisitoria… sono lo specchio della nostra angoscia postmoderna? E forse proprio questo soprassedere sulla fisiognomica dei volti, questo concentrarsi sui particolari fa sì che tutti noi ci chiediamo: ma siamo forse noi?

(Luca Ciurleo)

Gian Luca Pavesi: “colori che vanno dritti al cuore” (di Giuseppe Possa)

In Gian Luca Pavesi è stato sempre forte l’attrazione per i paesaggi e in generale per la bellezza della natura e, di conseguenza, gli è venuta in modo naturale la passione per l’arte, intesa come espressione di sentimenti e d’emozioni che, tramite i colori, crea e trasmette stati d’animo di grande effetto all’osservatore. È vero che alla pittura si è avvicinato osservando il padre Ugo, valente maestro ossolano, da cui ha appreso i primi insegnamenti, fondamentali per potersi avventurare nello straordinario e affascinante mondo dell’arte. Si è, però, staccato ben presto dallo stile del genitore. Tuttavia, dice: «Se ho bisogno di un consiglio, il papà è un aiuto; preferisco, però, operare da solo».

Nato a Domodossola nel 1970, Gian Luca ha frequentato scuole tecniche e lavora presso un importante stabilimento, ma il tempo libero che si ritaglia dopo gli impegni familiari (è sposato e ha due figli) lo dedica, da autodidatta, alla pittura all’aria aperta o nel suo studio a Seppiana, in Val dOssola, dove vive. «La pittura – afferma – diventa per me momento d’evasione e nello stesso tempo di riflessione. Penso ormai di aver raggiunto un mio stile, anche se non disdegno di provare cose nuove. Mi piace spaziare un po’ in ogni ambiente della natura e il mio obiettivo e sempre quello di migliorare».

Fin dalla giovane età dipinge dal vero, in particolare i paesaggi della sua terra, di cui ha raffigurato tanti scorci interessanti, cercando sempre di coglierne i momenti più suggestivi. In seguito, però, preferendo gli spazi più ampi, ha frequentato maestri del novarese, come Giroldi (scomparso di recente) o Sarasi con cui si accompagna spesso o l’amico Cigalotti. Così, oggi, si può affermare che l’essenziale della sua pittura è di giovarsi di un punto d’osservazione personale, con un suo realismo, visto con occhio sereno, con toni cromatici liberi e un tocco di pennello morbido e sciolto che coglie l’essenziale. Molte sue opere sono già appese nelle case di alcuni collezionisti: sono parte dei dipinti che ha esposto nelle mostre di Premosello nel 2007, di Vanzone (alla Torretta) nel 2010 e di Antrona nel 2012. Pavesi ha già partecipato anche a numerose collettive in Ossola e nel Novarese. Per il prossimo anno ha intenzione di presentarsi al grande pubblico con una personale a Villadossola.

Egli, negli ultimi tempi, con buona maestria scenica, coglie molti paesaggi dal richiamo lirico, dove i laghi, il mare, i fiumi, le nuvole del cielo, sono i principali protagonisti. La trasparenza dell’acqua, soprattutto, è ripresa in modo egregio, con emozionanti risvolti sensitivi, nei giochi di luce e di riflessi. Le morbide o agitate onde che s’infrangono sulla spiaggia o su rocce e scogliere, i sinuosi salti dei ruscelli, affascinano per compostezza e armonia di sintesi. Sono raffigurati con poesia meditativa, con stile intuitivo personale e ricco di contenuti visivi. L’artista li riprende da scorci pittoreschi, ridestando emozioni velate da un fascino stilistico, finalizzato al richiamo di ambienti incontaminati. Interessanti sono anche le “atmosfere pomeridiane” o le “impressioni invernali” con cui dipinge le sue brughiere, con il vento che ne muove il fogliame e le nuvole a strisce, quasi impalpabili veli che valorizzano e accentuano l’aria di mistero; i canneti che si sviluppano alle foci dei fiumi; le paludi costruite tra arbusti, come luoghi raccolti, silenziosi.

Nella frastagliata articolazione di colori vivi, Gian Luca si dedica in modo particolare a riprodurre fiori, ripresi con una pittura morbida, il cui cromatismo, impastato di luce, dà una spazialità di decantazione, orientata verso un magico lirismo, dove la tensione luce-ombra è avvolta nella stessa creatività dell’artista. Le mimose, le ortensie, le rose, le peonie o le margherite nelle loro disposizioni in vasi o anche solo abbandonate a sé stesse in sequenza d’immagini incantate che vanno dritte al cuore, suscitano nell’osservatore un senso di distensione e di serenità. I fiori, nella scioltezza lucente dei rossi, dei gialli o dei blu in felice sintesi, non sono descritti, ma con idilliaco gusto sono appena accennati in fantasiose combinazioni, in chiave contemporanea e nel fascino della loro suggestiva semplicità.

In sintesi è questo che si prova contemplando i suoi quadri: essi, infatti, ci trasmettono quel senso di pace, di quiete, negli aspetti più rasserenanti, a cui ognuno di noi aspira. Basti osservare la sapiente costruzione scenica di certi scorci marini per riscoprire un contatto sensoriale con l’azzurro e la flessuosità dell’acqua. O le solenni vedute estive di montagna tra il verde del fogliame di alberi vigorosi: certezza del valore autentico delle cose del passato. Queste opere, che rapiscono l’animo, sono un invito a perdersi nel verde, a ritrovare la dolcezza del paesaggio pastorale, che intuiamo essere prima contemplato e interiorizzato dall’autore, poi, rappresentato. 

Ed è proprio a tali sentimenti che si collega la pittura di Pavesi, tanto da coinvolgere l’osservatore nella limpida purezza delle tinte e nella freschezza degli accostamenti, facendogli così distogliere lo sguardo e l’animo dal grigio e dalle ombre della quotidianità, magari pure con qualche creazione che è al limite tra il figurativo e l’astratto. Nei suoi racconti pittorici, riassumendo, troviamo ora una baita, qualche montagna, prati o campi, ora un canneto o una palude, ora una distesa di papaveri o un campo di girasoli, qua e là uno scorcio di mare o di lago, oppure una natura morta con ciliegie e poi tanti fiori, come se l’autore volesse ritrarre in ogni sua tela qualcosa che il visitatore ha già vissuto e di cui serba il caro ricordo.

«Quando sono a contatto con la natura – aggiunge il giovane pittore ossolano – mi sento ispirato e dimentico la frenesia del mondo moderno. Dovunque vada, trovo sempre un paesaggio che mi attrae per la sua bellezza e cerco di raffigurarlo». Dipingere la natura, come fa Gian Luca Pavesi, con tagli e colori più adatti al contemporaneo rispetto alla tradizione della sua terra, significa saper cogliere l’essenza visiva e le intimità recondite che si nascondono in un qualsiasi paesaggio adagiato nei suoi numerosi colori naturali.

(Giuseppe Possa)

 

 

 

 

 

(G. Possa e L. Ciurleo)