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di Giuseppe Possa

L’opera di Alfredo Mazzotta, scultore, incisore, pittore e “Maestro” di alcune generazioni di allievi del Liceo Artistico di Brera (Milano), merita di essere conosciuta, oltre che dalla critica, dai collezionisti e dagli appassionati d’Arte, da un più vasto pubblico, per la carica espressiva ed emozionale che contiene.
Alla sua formazione giovanile hanno contribuito i Maestri dell’Accademia, ma anche la proficua frequentazione degli atelier di noti artisti. Tutto ciò, Alfredo Mazzotta (nella foto con Luciano Minguzzi e Giovanni Blandino)  me lo confida durante un nostro incontro nella sua casa-studio di Milano, un ambiente di grande contemplazione, quasi un museo, per tutti quei quadri appesi alle pareti o quelle sculture dislocate ovunque di noti pittori e scultori contemporanei. A queste opere si aggiungono le sue dalle forme figurativo-astratte, plastiche, morbide, in silenziosa armonia, esposte nei vari locali, alcune delle quali, probabilmente, da come sono sistemate, sembrano in attesa di essere inviate a qualche mostra collettiva, molte delle quali da lui organizzate.
Osservandole, ho pensato: certamente all’inizio della carriera, sarà stato influenzato, da esperienze moderne che s’intrecciano ad artisti come Arp, Moore, Brancusi e glielo chiedo: <<Quei grandi artisti>> mi risponde, <<li ho conosciuti e studiati all’Accademia. Fu soprattutto Minguzzi a farmeli percepire per sintonia, ma l’origine delle mie sculture va cercata nella mia “mitica” nonna materna Rosa, che mi ha voluto tanto bene e che ha aiutato la mia famiglia e noi nipoti a crescere. Aveva una casa semplice, ma grande, dove vivevamo. C’era il giardino, l’orto, il pollaio, dove tutte le mattine mi portava a prendere le uova e poi me ne sbatteva uno. Io, di carattere ero, diciamo, morbido e da bambino fisicamente avevo una forma esile, ma per natura ero affascinato dalla perfezione dell’uovo che vedevo cadere dal “posteriore” delle galline. Mi ammaliava quella forma sferica ed ellittica, così perfetta che, senza l’intervento di mani, scalpelli o altro, appariva in modo naturale. Quando si schiudeva e spuntava il pulcino, l’uovo mi sembrava un contenitore di vita>> e prosegue, <<Mi affascinava pure la sfera, mi piaceva giocare al pallone e poi guardavo gli anziani giocare a bocce sempre così tonde. Poiché ero già da piccolo attratto dalle matite e dai colori, mi affascinava disegnare il cerchio e l’ovale, in quelle sagome arrotondate che sembravano racchiudere i visi, parte dei corpi in una continua metamorfosi, che poi utilizzai nelle mie opere, quando ebbi modo di approfondire quegli artisti, di cui accennavi tu>>.
Ecco, mi vien da pensare, perché, nelle opere di Mazzotta, mi pareva di vedere l’uovo di Brancusi appoggiato su una pancia.
Mi racconta, poi, altri episodi premonitori, come quello che da bambino creava con la creta le statuine del presepe che si erano rotte, per evitare di chiedere ai genitori di acquistarle. Soprattutto rievoca un ricordo triste. A otto anni perse un fratellino, la cui morte Alfredo non è mai riuscito ad accettare, forse anche da questo nascono i suoi contorni chiusi. Voleva un fratellino (ha già altre due sorelle, una terza nascerà anni dopo), ma i genitori tergiversavano e lui si affacciava al balcone per vedere se la cicogna lo portava, come si usava dire allora ai piccoli, ma un ragazzino già smaliziato lo informò come nascevano i bambini e lui ora afferma: <<Speravo sempre di vedere la mamma incinta. Ecco la sfera. E la nonna, come ti dicevo prima, nel periodo fecondo della covata mi portava a osservare schiudersi l’uovo e nascere il pulcino. Poi, quando metteva i semi nei vasi mi spiegava come dentro la terra germogliavano. Ecco perché mi è rimasto in testa il seme che contiene la “vita”, similmente avviene nel ventre della donna. Da qui “nascono” le forme ovali e sferiche delle mie opere>>. Un’arte divenuta in seguito “fertile”, con pure uno slancio di tenera sensualità, in un astrattismo lirico, dalle curvature dolci nella convessità e concavità delle forme.
Queste “immagini”, dunque, le ha colte e catturate con intensità e spiritualità sublime, in primis dal “mondo delle cose”, senza forzature o artificiosità intellettuali. In seguito, nel prosieguo degli studi, ha affinato questo suo primitivo linguaggio espressivo, rendendolo vivo, dopo essersi esercitato nella copia di statue greche e romane, sia all’Istituto d’Arte, sia all’Accademia dove poi disegnava anche modelle viventi. In particolare, si è perfezionato osservando i grandi artisti, da cui ne ha acquisito la maestria, con l’uso sapiente della luce, in profili che si ammorbidiscono nell’alternarsi armonioso di pieni e di vuoti. La solidità materica e la purezza formale di Alfredo – sviluppate in forme, di sinuoso effetto spaziale – riflettono gli ideali di un mondo sublime, mistico. Le sue sculture, a quel punto, diventano figure flessuose in contorsione, lavorate con maestria: <<Grazie a Minguzzi>> precisa, <<che è stato fondamentale nella mia crescita. Egli ha arricchito le mie conoscenze dandomi anche libri di grandi scultori: Martini, Boccioni, Brancusi, Moore, Arp e Viani. Sono rimasto affascinato e li ho studiati>>.
Ma partiamo dall’inizio.
Alfredo Mazzotta nasce nel 1951 in Calabria a Nao, nel Comune di Jonadi. A colorare era già bravo alle elementari; alle medie, una professoressa rimaneva sbalordita dalla sua talentuosità e gli chiedeva i disegni. Fu lei a convincerlo di iscriversi all’Istituto Statale d’Arte di Vibo Valentia, dove concluse gli studi e si diplomò Maestro d’Arte (Arte del mobile) nel 1968. Nello stesso anno, partiva dalla Calabria e si stabiliva a Milano, per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove si diplomò in scultura (1973) con il Maestro Luciano Minguzzi (assistente Nino Cassani) e in pittura (1977) con il Maestro Domenico Purificato (assistente era il pittore Saverio Terruso). Frequenta contemporaneamente il corso di Cromatologia tenuto da Luigi Veronesi e di Tecnologia dei Materiali sotto la guida di Romano Rui. In Storia dell’Arte ha seguito le lezioni di Raffaele De Grada e Guido Ballo. Ha partecipato anche ai corsi di incisione di Luciano De Vita e Pietro Diana, e di serigrafia con Fernando De Filippi.
Dai loro insegnamenti ha appreso e sviluppato in forma originale le tecniche di scultura e pittura, divenendo uno dei più apprezzati artisti italiani e non solo, conseguendo ovunque ambiti premi e riconoscimenti.  <<Io pur guardando ai contemporanei>> aggiunge, <<ho sempre messo al centro della mia ricerca quasi esclusivamente la figura femminile, cogliendo l’essenziale, togliendo il superfluo che poteva disturbare la forma tonda-ovale. Mi piace la morbidezza, il tondo puro senza fraseggi>>.   Per diversi anni è stato assistente (e poi amico) dello scultore Eros Pellini sia al Liceo Artistico di Brera che in Studio (nel prosieguo ha pure collaborato e tuttora collabora con l’Atelier Pellini, restaurando anche opere di Eugenio e Eros Pellini). Dal 1975 e fino alla quiescenza nel 2011 ha insegnato Discipline Plastiche al Liceo Artistico Statale di Brera. Dei suoi maestri ha mediato la responsabilità professionale, la laboriosità, il desiderio continuo di rinnovamento e di sintesi, il senso critico nella lettura delle opere, sia dal lato tecnico sia da quelli umano ed estetico, l’attaccamento al lavoro e all’insegnamento: <<Tutte qualità che ho cercato di fare mie>> precisa.
All’inizio, dipingeva perché riusciva a vendere i quadri, però con quei proventi acquistava i materiali per scolpire e poter realizzare le fusioni in bronzo: <<Facevo una pittura naturalistica, dai colori squillanti e contrastati, poi a Milano ho trovato il grigio attraverso nebbia e smog e mi sono scontrato con i grattacieli, le cui forme geometriche facevo sfociare, comunque, in un cielo sempre azzurro; il cemento che avanzava lo riproducevo in grigio. I titoli erano: “Là dove c’era l’erba”, “Fermare il cemento”, “Pulire l’aria”, “Paesaggio 1 + paesaggio 2” e altri simili. Tra la pittura tradizionale che facevo in Calabria e quella milanese, in questi ultimi anni, la sogno e la eseguo con maggiori spazi per la natura, inserendo reperti archeologici che affiorano dalla terra e non più sovrapponendola a colate di cemento>>.
A Milano, Mazzotta ha formato la sua famiglia e ha avuto due figlie che lo hanno sempre sostenuto: Monia, felicemente sposata a Milano con Francesco e che di recente gli hanno dato un nipotino, Nicola, che adora; l’altra è suor Ilaria, Rosminiana che vive a Roma.
Numerose le mostre personali e collettive: oltre che in Italia, ha esposto in Polonia, Svizzera, Stati Uniti, Giappone, Germania, Corea, Ungheria, Turchia, Albania, Francia, ma l’elenco delle mostre è troppo lungo per essere qui riportato. Tuttavia, la prima personale gliel’ha organizzata il baritono Giuseppe Zecchillo (che fu il primo a credere in lui) nella sua Galleria d’Essai a Milano, in via Fiori Chiari, quand’era ancora studente. Espose gessi perché gli mancavano i soldi per fonderli in bronzo. L’ultima mostra, a cui ha partecipato, è la collettiva organizzata di recente nello studio del figlio Graziano Zecchillo (ex studio di Piero Manzoni).
Nel 2001 ha vinto il Concorso Nazionale di Scultura “Città di Novara”, per l’esecuzione di un Trofeo da consegnare a personalità della Cultura e dello Sport nelle varie manifestazioni organizzate dall’Unione Veterani dello Sport. Nel 2008 ha, tra l’altro, realizzato le scenografie per lo spettacolo teatrale “Paroles Aux Femmes”, con protagonista l’attrice Aphrodite de Lorraine per il Theatre Franҫais de Milan, al Teatro Litta del capoluogo lombardo. A Modica nel 2010 ha curato il Simposio Internazionale di scultura in pietra “Le fatiche di Ercole”, scolpendo per l’occasione un’opera per il “Centro studi Contea di Modica”. Lo stesso anno, Aidan Cesira Photographer gli ha dedicato il libro fotografico “Alfredo Mazzotta: l’Uomo, l’Artista, il Maestro”. È socio artista del Museo della Permanente di Milano e ha fatto parte più volte della Commissione Artistica Annuale. Tuttora ricopre la carica di membro Artista del Consiglio Direttivo.
Mazzotta vive e opera a Milano che ama come il suo paese d’origine, tanto da considerarsi un “cala-lombardo”, termine da lui coniato.
Con grande passione si è sempre dedicato oltre che alla sua professione, anche ad aiutare gli amici (spesso, forse, pensando a loro più che a se stesso). Ha avuto grandi amici, quello che ha sentito più vicino è stato Giovanni Blandino (1938-2020) https://pqlascintilla.wordpress.com/2020/03/23/e-morto-giovanni-blandino-scultore-che-plasmava-materia-e-sentimenti/. Si è impegnato, inoltre, a organizzare numerose mostre collettive in tutta Italia, di grande interesse artistico (alcune nello Spazio Laboratorio Hajech del Liceo Artistico di Brera che lui ha diretto per molti anni).
Ci conosciamo dalla fine degli anni Settanta e mi sono convinto che lui senta l’esigente funzione dell’Arte come “missione”, sia quando insegnava, sia nella sua personale ricerca, che attraverso la lezione dei grandi del passato, si fa testimone di un atteggiamento innovativo e di fervore spirituale e umanistico, che vede l’esistenza nel rispetto dell’umanità e della natura.
L’Arte per lui è rapimento, contemplazione, non c’è nulla da comprendere: la sua scultura è quella che è tra le forme e gli spazi, dentro le immagini, dietro le visioni, nelle modellazioni dei propri lavori ammirevoli. La materia da lui utilizzata è plasmata, scalfita, quasi accarezzata, trattata con maestria dalle sue mani, per approdare a personali soluzioni e morbidezze plastiche. Nelle creazioni di Alfredo ci sono professionalità, studio, mestiere, manualità esecutiva e vigore espressivo, arricchito di contenuti e sussulti sociali ed etici.
Mazzotta ha portato avanti anche importanti committenze, come i monumenti, le opere nelle chiese, i quadri e le incisioni nei musei e negli spazi pubblici, sempre nel suo stile inconfondibile, fatto di movimenti in contorsione, esaltanti la bellezza dei corpi, in particolare femminili e la plasticità delle forme e delle figure nelle sue molteplici sfaccettature: l’armonia della natura, lo sbocciare della vita, il senso del cosmo e della nostra terra. <<Con questo tipo di forme ho sempre cercato di rappresentare la vita>> afferma, <<non come gesto fisico, ma come senso dell’esistenza, con i suoi sacrifici, sofferenze, lontananze, lutti, che io ho percepito in famiglia e che ho metabolizzati inserendoli nelle mie opere. La figura è praticamente quasi sempre femminile nel ricordo di mia mamma e della nonna Rosa>>.
Alfredo, lungo il suo percorso artistico, ha sempre coniugato l’Arte con un grande impegno nel sociale, nella solidarietà, nell’aiuto e nella beneficenza dei più deboli. A tal fine si è occupato a organizzare eventi e iniziative a scopo umanitario. Si è prodigato anche a raccogliere opere di artisti, poi messe all’asta, il cui ricavato è stato donato ad associazioni benefiche. È sempre stato disponibile ad andare incontro a una mano tesa per aiutala, mai dimenticandosi delle sue radici: <<Nella mia famiglia c’è sempre stata generosità, sia da parte dei miei genitori che della nonna Rosa, per cui mi viene naturale aiutare gli altri. Ho donato mie opere per solidarietà e ne ho raccolte da amici. Come sai, io non ho la tua visione del mondo quando dici che finiremo nel “pulviscolo dell’universo” e che saremo ciò che eravamo prima di essere: io sono credente, con un profondo senso spirituale, ho uno stile di vita semplice, dedito alla famiglia e agli altri, con pensieri, parole ed opere, come mi hanno insegnato in casa e all’oratorio. Don Michele Tarzia, l’allora parroco di Nao, mi ha insegnato molto. Forse, è anche per questo che le mie opere esprimono dolcezza, serenità, pace e amore>>.
Mazzotta opera con materiali vari, argilla, gesso, legno, pietra, vetroresina o altri, ma predilige il bronzo perché per lui è prezioso, caldo e permette di riprodurre in modo fedele anche diverse copie: <<Ho, inoltre, realizzato grandi sculture in pietra leccese, siciliana e veneta direttamente nei luoghi di collocazione delle sculture; ho adoperato la resina e fibra di vetro perché si possono realizzare opere grandi, particolarmente non pesanti>> e prosegue, <<Uso la terracotta perché mi risulta immediata, calda e mi ricorda la nostra origine; altri materiali li creo da me mescolando diversi elementi: resine, sabbia, polvere di bronzo o di marmo e graniglie varie>>.
Le sue opere nascono da una tecnica tradizionale: <<Escono dalle mie mani>> dice, <<dopo averle pensate, disegnate e preparato le strutture per la modellazione in argilla, stampo negativo in gesso e colata in gesso, sfornatura dei lavori, rifiniture e posizionamento sul basamento; infine, porto il tutto in fonderia per la fusione in bronzo a cera persa>>.
E continua: <<Io non cerco mai di riprodurre ciò che ho visto, mi arricchisco di quello che osservo e cerco di trasformarlo in un mio pensiero. Comunque, tutto parte dal guardare con attenzione la natura, sia la materia che le immagini, poi però occorre trasformarle in proprio, in un pensiero interiore>> e conclude: <<Disegno molto, un po’ meno dipingo; realizzo anche incisioni, litografie e linoleografie. Questo mi permette di realizzare lavori che non si possono fare tridimensionalmente. Opero in base e in altezza e con colori e segni simulo la terza dimensione attraverso segni, luci e ombre>>.
Per concludere: le sculture di Alfredo Mazzotta “Sequenze sinuose” che si potrebbero titolare “da Brera a Brera”, dagli anni Settanta quando frequentava l’Accademia a questi anni, in cui è andato in pensione, dopo aver insegnato nel Liceo Artistico di Brera. Nelle sue opere appaiono figure flessuose in contorsione, lavorate nella poesia della materia con grazia e rigore. La sua sapienza artistica si concretizza proprio in queste composizioni, sequenze raffinate di sinuoso effetto spaziale; in esse sono idealizzate e trasfigurate le forme, in una visione plastica ed elegante, in cui sono pure evidenti alcuni vincoli sentimentali, ideali e intellettuali. C’è una fantasia creatrice contemporanea, in questo autore affascinato da pensieri culturali, ma anche mitici e mistici, che evocano emozioni personali e lascia ai fruitori una gamma di significati in cui possono spaziare con la loro fantasia.
Mazzotta – che scolpisce, modella e fonde materie diverse, nella sua ricerca, pur ispirandosi alla cultura del primo Novecento (per le forme arrotondate e le qualità surreali od oniriche) – ha saputo operare con assoluta originalità espressiva, ricca di sfumature liriche, per la dinamicità dei volumi a tutto tondo. L’artista non si preoccupa delle cromie del tutto atonali; semmai del colore, esaltato magicamente dalla luce, ne tiene conto nella pittura e nei disegni, che sembrano trasmettere, come asseriva lui prima, dolcezza, serenità, pace e amore. 

Giuseppe Possa

 

 

 

 

 

 

 

(Giuseppe Possa e Alfredo Mazzotta)

 

Lettura di “Reperto”

 

Con uno stile nitido, plastico e tendente alla perfezione formale, Alfredo Mazzotta plasma l’opera “Reperto” (nelle sue diverse variazioni), raffigurando il ventre delle donne, possibile germe di vita, dentro una forma ovoidale, assoluta e cosmogonica.
La sagoma essenziale ed elegante dell’uovo (inizio del mondo e simbolo di vita primordiale) viene tagliata in una metà e modellata, così da dare l’impressione, allo sguardo catalizzato dell’osservatore, che il guscio si stia schiudendo di fianco, creando delle linee che riproducono la femminilità della donna. Rappresentata in una posizione pure capovolta, con le gambe in aria, la donna sembra rendere meglio la difficoltà e i rischi fisici, a cui deve andare incontro con la maternità, il più nobile gesto verso l’umanità.  L’artista sembra rimarcare, in questo modo, che ella è la sola ad avere il privilegio di procreare e donare, con il suo gesto e il suo sacrificio, la vita a un nuovo essere che a sua volta può generarla.
La scultura, nella parte posteriore, in un gioco di simmetrica armonia, appare proprio tonda come un uovo – seme procreativo, quindi produttore di vita, seno della madre che dà nutrimento – al quale l’autore sembra aver affidato un messaggio interiore, ricco di mistero e di prosperità.
Questo tipo di sculture, nella loro sinuosa misura aurea dello spazio e nell’impostazione concettuale, diventa anche simbolo-grembo di protezione dell’origine dell’esistenza, nido-casa, pertanto emblema cosmico, per la continuazione della specie. Con essa Mazzotta vuole ricordare, infine, la genesi dell’essere umano che attraverso la donna, con la sua dolcezza e il suo sacrificio, diviene forma vitale, fluente, che si articola in racconto, ma nel contempo mantiene tutto il suo privilegio di sublimazione e di astrazione mitica.

Giuseppe Possa

I quaderni del Concorso di poesia “ControCorrente” (il periodico fu fondato e diretto dal critico Gianni Pre). Nel 1998 il premio fu vinto da Filippo Inferrera e la copertina della silloge poetica è illustrata con un’opera di Alfredo Mazzotta